IL PRETORE
    A scioglimento della riserva formulata  nei  procedimenti  riuniti
 sub  n.  4634/1994  tra  Cianni  Silvia  +  altri  e l'Ente nazionale
 previdenza  ed  assistenza  dei  veterinari,  pronuncia  la  seguente
 ordinanza.
    Con   l'azione   proposta   i   ricorrenti   mirano   ad  ottenere
 l'accertamento del loro diritto di restare esonerati  dall'iscrizione
 all'E.N.P.A.V.  (Ente  nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  dei
 veterinari)  e  dal  connesso  pagamento  dei   contributi   maturati
 (relativi  agli  anni  1991,  1992  e  1993),  e maturandi (a seguito
 dell'imposizione   contributiva   anche   per   il   futuro)   previa
 dichiarazione  di  rilevanza  e  di  non manifesta infondatezza delal
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11,  ventiseiesimo
 comma, della legge finanziaria 24 dicembre 1993, n. 537, in relazione
 ai   vari   parametri   costituzionali   indicati,   con  conseguente
 sospensione  del  processo  e  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale.
    I   ricorrenti   sono  medici  veterinari  che  si  trovano  nella
 condizione prevista dall'art.  24,  secondo  comma,  della  legge  12
 aprile 1991, n. 136. In base alla legge 18 agosto 1962, n. 1357 (art.
 2,  secondo  comma), l'iscrizione all'E.N.P.A.V. era obbligatoria per
 tutti i veterinari  (di  eta'  inferiore  agli  anni  sessantacinque)
 iscritti   negli   albi  professionali  (anche  dunque  se  svolgenti
 esclusivamente  attivita'  di  lavoro  dipendente);  cio'  comportava
 comunque   la  corresponsione  di  un  modesto  contributo  (previsto
 dall'art. 16).
    Con la legge n. 136/1991 (di  riforma  dell'E.N.P.A.V.)  e'  stato
 invece  posto  il  contrario  principio  per  cui l'iscritto all'albo
 professionale, ma che svolgesse esclusivamente  attivita'  di  lavoro
 dipendente  od  autonomo  con altra forma di previdenza obbligatoria,
 aveva la facolta'  di  iscriversi  o  meno  all'E.N.P.A.V.  (cfr.  in
 particolare  l'art.  24,  secondo  e  terzo comma, nonche' l'art. 32,
 abrogativo del gia' citato art.  2  della  legge  n.  1357/1962);  in
 compenso   e'   stato  previsto  in  generale  un  contributo  minimo
 soggettivo certamente piu' elevato (art.  11),  mentre  gli  iscritti
 all'albo  e  non  all'E.N.P.A.V.  erano  tenuti a versare soltanto un
 modesto contributo di solidarieta' (art. 11, quarto comma).
    I ricorrenti hanno  dunque  esercitato  la  facolta'  di  rinuncia
 all'iscrizione  all'E.N.P.A.V. A distanza di tre anni dall'entrata in
 vigore della legge di riforma, con l'art. 11 (punto 26)  della  legge
 finanziaria  (per  l'anno  1994)  n. 537/1993 e' stata introdotta una
 norma che, all'interno di ristabilire il presupposto dell'imposizione
 contributiva  nei  confronti  dei  veterinari  "receduti",  sotto  le
 sembianze di norma interpretativa dell'art. 32,  primo  comma,  della
 legge  n.  136/1991,  ha  ripristinato  a  carico  di  questi  ultimi
 l'obbligo  di  iscrizione  all'E.N.P.A.V.,  disponendo  altresi'   la
 nullita'  di  diritto dei relativi provvedimenti di cancellazione, ed
 il pagamento dei contributi frattanto maturati. Per l'adempimento  di
 tale  obbligo  l'E.N.P.A.V.,  ha provveduto sollecitamente ad inviare
 una lettera di invito, con allegato bollettino di versamento in conto
 corrente postale, chiedendo appunto ai ricorrenti  il  pagamento  dei
 contributi arretrati (maturati fino al 31 dicembre 1993).
    Sembra   impossibile   a   questo   pretore   dare   all'art.  11,
 ventiseiesimo comma, un'interpretazione diversa da quella seguita  in
 sede  amministrativa  dall'E.N.P.A.V.,  perche', sebbene la norma non
 brilli  per  cartesiana  chiarezza  e  per  la  tecnica   ermeneutica
 utilizzata, e' pur tuttavia dotata di un'innegabile coerenza interna,
 che ne impedisce un diverso apprezzamento.
    Si  puo'  prescindere  in questa sede dall'affrontare i profili di
 non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale  della  suindicata  norma  collegati  alla  sua natura
 asseritamente interpretativa, e comunque al suo effetto  retroattivo,
 in  quanto  essi  sono  stati  gia'  esaminati  da questo pretore con
 ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale  del  16
 aprile 1994 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 22 giugno 1994).
    Anche  per  motivi  di  economia processuale, non interessa dunque
 tanto riesaminare i  profili  di  non  manifesta  infondatezza  della
 questione   di   legittimita'  costituzionale  concernenti  l'obbligo
 contributivo per il passato (e cioe' per gli anni 1991-93)  collegati
 al  suddetto  effetto  retroattivo  della  norma, ma interessa invece
 enucleare  i  dubbi  di  illegittimita'  che  riguardano  l'eventuale
 mantenimento  del  regime di imposizione contributiva per il futuro a
 carico dei soggetti che si trovano nelle condizioni lavorative  degli
 odierni  ricorrenti.  Al  proposito,  non  c'e'  dubbio  in ordine al
 requisito della "rilevanza" di tale questione, in considerazione  del
 petitum del giudizio principale, quale emerge chiaramente anche nelle
 conclusioni dell'atto di ricorso.
    Va  osservato  che si evincano, anche sotto tale profilo, come del
 resto gia' rilevato con la precedente ordinanza del 16  aprile  1994,
 vari  profili di presunta illegittimita' costituzionale dell'art. 11,
 ventiseiesimo comma, della legge n. 537/1993.
    Anzitutto emerge la non manifesta infondatezza della questione  di
 legittimita'  costituzionale in ordine alla rinnovata obbligatorieta'
 dell'iscrizione all'E.N.P.A.V. per  coloro  che,  iscritti  in  epoca
 antecedente  alla  legge  n.  136/1991, si trovano pur tuttavia nella
 condizione lavorativa prevista dall'art.  24,  secondo  comma,  della
 stessa   legge.  In  particolare,  l'obbligatorieta'  dell'iscrizione
 all'E.N.P.A.V. anche per i  medici  veterinari  gia'  avvalentisi  di
 altre   forme   di   previdenza  obbligatoria  determina  un'evidente
 violazione del principio di eguaglianza (art. 3 della  Costituzione),
 nel termine della disparita' di trattamento, e cio' in duplice senso:
 a)  nei  confronti  dei  veterinari "libero-professionisti" (tenuti a
 pagare solo i contributi per l'E.N.P.A.V.),  che  sarebbero  trattati
 irragionevolmente  meglio  dei  veterinari  "assicurati",  in  quanto
 dipendenti,  sui  quali viene a gravare una doppia previdenza; b) nei
 confronti dei veterinari, che  trovandosi  nelle  medesime  (rispetto
 agli  odierni  ricorrenti)  condizioni previste dall'art. 24, secondo
 comma, della legge n. 136/1991, essendosi pero' iscritti per la prima
 volta agli albi professionali dopo la data di entrata in vigore della
 legge da ultimo indicata,  sono  sottratti  in  forza  dell'art.  11,
 ventiseiesimo  comma,  della  legge  n. 537/1993, all'obbligatorieta'
 dell'iscrizione all'E.N.P.A.V.  Sotto  questo  profilo,  deve  dunque
 ritenersi  non  manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 11,  ventiseiesimo  comma,  della  legge  n.
 537/1993,  anche  per  gli  effetti  del combinato disposto di questa
 norma con gli artt. 32, primo comma, della legge  n.  136/1991  e  2,
 secondo comma, della legge n. 1357/1962.
    Inoltre,  l'art.  11, ventiseiesimo comma, della legge n. 537/1993
 sembra violare anche l'art. 38 della Costituzione, che  prevede  come
 "diritto"  (e non come dovere) dei lavoratori quello a che siano loro
 assicurati  mezzi  adeguati  alle  esigenze  di  vita  in   caso   di
 infortunio,    malattia,   invalidita',   vecchiaia,   disoccupazione
 involontaria. A fortiori, dall'art. 38 della Costituzione non e' dato
 desumere l'obbligatorieta' di una "doppia previdenza",  in  relazione
 ad  un  unico  rapporto di lavoro, e di conseguenza la legge non puo'
 innestare un sistema in cui il cittadino sia tenuto  a  corrispondere
 ulteriori  contributi previdenziali ad un determinato istituto contro
 la sua volonta'.
    Si deve d'altronde osservare come, anche  nel  nostro  ordinamento
 giuridico,  la  facoltativita'  dell'iscrizione  e' espressione di un
 trend legislativo che sembra inequivocabilmente indirizzato nel senso
 della unicita' della posizione assicurativa pubblica nell'ambito  del
 pluralismo previdenziale. Sotto tale profilo la norma in esame appare
 altresi'  in  interna contraddizione, tanto da far dubitare, anche in
 questa  prospettiva,  della   sua   razionalita',   con   l'art.   1,
 trentatreesimo comma, lett. c) della stesa legge n. 537/1993, che, in
 relazione   alla   delega   al   Governo  all'emanazione  di  decreti
 legislativi diretti  a  riordinare  o  sopprimere  enti  pubblici  di
 previdenza ed assistenza, pone tra i criteri direttivi proprio quello
 dell'eliminazione delle duplicazioni dei trattamenti pensionistici.
    La norma in esame, inoltre, incidendo sulle situazioni sostanziali
 poste   in   essere   nel   vigore  del  precedente  regime,  frustra
 l'affidamento  di  una  determinata  categoria  di  cittadini   nella
 sicurezza  giuridica,  che  costituisce  elemento fondamentale di uno
 stato di diritto: anche in tal senso dunque  viola  l'art.  38  della
 Costituzione.  Invero,  secondo un'autorevole dottrina, la c.d. buona
 fede legislativa impone di tenere in considerazione la situazione  di
 affidamento  determinata  in  precedenza  dal  legislatore  e  di non
 violarla a posteriori, anche con effetto non retroattivo, se non  per
 motivi   che,   sulla  base  di  un  giudizio  comparativo,  appaiono
 eccezionalmente prevalenti. Ed esigenze di tipo economico-finanziario
 non sembrano potersi ritenere ragione sufficiente a  giustificare  la
 violazione  del  suddetto  principio (in tal senso, con riferimento a
 fattispecie  diversa,  ma  di  natura   previdenziale,   cfr.   Corte
 costituzionale 10 febbraio 1993, n. 39).
    Con  riferimento  pertanto  alla fattispecie concreta portata alla
 cognizione di questo pretore, ai fini di  stabilire  se  in  capo  ai
 ricorrenti  sussista  o  meno  un  obbligo contributivo nei confronti
 dell'E.N.P.A.V. per gli anni 1991-93, e  successivi,  rivelandosi  in
 base  a  quanto  sopra  argomentato  il  sospetto  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 11, punto 26, della legge n.  537/1993,  gli
 atti  debbono  essere trasmessi alla Corte costituzionale perche' sia
 risolta la questione di legittimita' costituzionale della  suindicata
 norma in relazione ai richiamati parametri della Carta fondamentale.
    Rimanendo  assorbito  ogni  altro  rilievo  ed  ogni altro profilo
 attinente al fatto, il presente giudizio deve dunque  essere  sospeso
 ed  occorre provvedere agli adempimenti prescritti dall'art. 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87.